RACCONTO D’INVERNO di Renzo Puppo
Nevicava quel giorno su Genova. Erano anni che non si vedeva una nevicata così intensa, ma dovevo per forza uscire per raggiungere il mio studio nel centro storico, dove stavo lavorando alla realizzazione di una Madonna in terracotta.
Raggiunsi la città in treno, e mi avviai verso Via della Maddalena.
Come sempre la neve cambia il mondo, ma rimasi stupito dal chiarore che illuminava la strada,che, stretta tra alti palazzi, è di solito piuttosto buia. Solo al mattino da est e la sera da ovest, il sole con la sua lama luminosa la accende, facendo vedere tutte le crepe, le rughe del tempo, e mostrando in controluce i passanti, che muovendosi sembrano danzare in un pulviscolo dorato.
E’ tutto un gioco di luci, ombre, musiche, odori non familiari, che fanno vibrare la via come di un’eco d’Oriente.
Quel giorno invece tutto taceva, nessuno in strada, non una voce, non un panno steso, solo gli specchi delle vetrine, come lanterne magiche, lasciavano immaginare una vita in quel momento assente. Il bianco della neve caduta rifletteva il cielo tra le cimase delle case, creando un’atmosfera irreale, dove l’unico rumore erano i miei passi sulla neve fresca.
Arrivando notai davanti al cancello due figure nere indistinte, che sbirciavano dentro. Avvicinandomi notai che erano due uomini che sembravano ritagliati da un quadro di Chagall, vestiti con lunghi pastrani e cappelli neri.
Dall’abbigliamento e dalle acconciature intuii che erano di religione ebraica. Anche le loro parole sussurrate e il tono cortese e fuori dal tempo facevano pensare alla loro cultura.
“Buongiorno, è lei che fa queste cose?”
“Buongiorno a voi, sì, sono idee mie. Vi piacciono?”
“Non tutte, ma sono originali. Restaura pure?”
“Non l’ho mai fatto, ma conosco dei …..”
“No!” mi interruppe lui.
Mi sorprese il tono secco, decisamente diverso dalla gentilezza di prima. Si avvertì una sospensione del dialogo imbarazzante……
“No, desidererei che lo facesse lei.” Riprese, nuovamente gentile.
“Che cosa?”
“Guardi” disse, estraendo da una borsa da viaggio di cuoio logoro un fagotto avvolto in un telo liso, e lo aprì con delicatezza, come se contenesse un gioiello prezioso. Comparve una piccola scultura, probabilmente di epoca liberty, che rappresentava due animali in lotta: un cervo volante nero, lucido come un guerriero medioevale, con l’armatura spezzata in più punti, ed una rana verdissima, lucente anch’essa, tanto da sembrare bagnata, priva di una zampa. Non era chiaro chi dei due era l’aggressore e chi si stava difendendo.
“Ci sono tutti i pezzi, mi può aiutare?”
Solo uno dei due uomini parlava, l’altro continuava ad annuire alle parole del primo, come fosse un coro mimico del protagonista.
“Potrei provare. Mi sembra che le varie parti coincidano perfettamente. Potrei provare a …..”
“Bene.” Mi interruppe nuovamente. ” Mi fido di lei. Sappia che questo oggetto appartiene alla mia famiglia da molto tempo. Per me ha un significato particolare, lo ruppe mio nipote e io lo punii in modo così violento che ancora me ne pento. Vorrei che lei, una volta restaurato, lo consegnasse personalmente a mio nipote.Io non posso tornare”.
“Chi è suo nipote? Lo conosco?”
“Penso di sì. Fa l’antiquario. Sa, quel piccolo negozio ai Macelli?”
“Ah, ho capito, passo sempre di lì, ma non ho mai visto suo nipote.”
“Glielo consegni. Le garantisco che sarà ricompensato.”
“Se lo dice lei….” Acconsentii. Qualcosa mi diceva che mi potevo fidare.
“Addio, e grazie per l’attenzione”.
Uscirono dal negozio e si avviarono verso i “quattro Canti”, con passo lento e cadenzato. Senza ombrello, lunghi e scuri, sembravano due cipressi neri mossi dal vento; in breve scomparvero, lasciando dietro di loro solo silenzio.
Finii rapidamente il mio lavoro per dedicarmi al nuovo oggetto, che luccicava, isolato, sul mio bancone. Era così diverso dalle cose che facevo io, strideva, sembrava che cambiasse il carattere dei miei personaggi: San Giorgio si disinteressava al drago per trafiggere gli intrusi; i pastori del Presepe venivano attirati dalla lotta, più stimolante della beatitudine di angeli e Madonne adoranti, che durava da ben 2000 anni. Anche il pannello del Carnevale nella sua ultima sera cercò uno stimolo per non entrare in Quaresima, e poter continuare la festa per sempre.
Due giorni dopo finii il restauro del pezzo e lo fasciai per consegnarlo.
Per la verità ero un po’ in ansia. Qualcosa mi aveva spinto ad accettare quell’incarico, ma temevo di trovarmi in imbarazzo con l’antiquario sconosciuto.
Dopo la neve, si era levato un vento da nordest gelato che aveva fatto ghiacciare la strada; avevo freddo e timore di scivolare e di distruggere la piccola scultura che aveva ritrovato la sua integrità.
La porta a vetri dell’antiquario era chiusa. Le luci della vetrina spente.
Sbirciai dentro; sul fondo del lungo corridoio che era il negozio, una fioca lampadina illuminava il ritratto di un vecchio seduto, che leggeva un libro.
Improvvisamente il quadro si animò, mosse la testa, e davanti alla lampadina la nuvola dei capelli bianchi s’illuminò come un’aureola di santo. Capii che il ritratto era l’antiquario, che si alzò e mi venne ad aprire, facendo tintinnare un campanello appeso alla porta.
Un po’ sconcertato per la mia svista, sorrisi all’uomo che, gentilmente, mi fece entrare.
“Desidera?”
“Buongiorno. Ho un oggetto che le appartiene….”
“A me? Non capisco…..”
Aprii l’involucro, liberando le figure che ripresero a lottare.
L’uomo rimase immobile, solo gli occhi tradirono una forte emozione.
“Mi hanno incaricato di restaurarlo e di consegnarglielo” spiegai io, con voce incerta, colpito dalla sua reazione.
Con le mani tremanti, il vecchio sollevò l’oggetto, e con voce flebile mormorò: “Sì, sì, lo riconosco, apparteneva alla nonna, lo ruppi io molti anni fa, ero bambino; mi punirono duramente e non venni mai perdonato…. Stava in una scatola di cartone, insieme ai pochi ricordi che mio nonno riuscì a portarsi via quando partì.”
“E’ proprio suo nonno che mi ha incaricato di consegnarglielo” balbettai io, confuso, rendendomi conto in quel momento dell’età dell’uomo.
Il vecchio sollevò gli occhi, lucidi: “Il nonno? Ma il nonno è stato deportato nel 1943…..e non ha mai fatto ritorno….” sussurrò, e il suo sguardo vagò nel vuoto. Lo guardai, e mi resi conto che ormai era perso nelle sue memorie, e completamente estraneo alla mia presenza.
Potevo soltanto uscire di scena. Mi girai e mi allontanai silenziosamente, lasciandolo in compagnia della sua eredità,che, in modo misterioso e inaspettato, forse lo avrebbe riconciliato col suo passato..
Camminavo lentamente; ero turbato. Avevo sognato? Ero vittima di uno scherzo della mia fantasia? Infine capii che, comunque, ne era valsa la pena, e mi sentii stranamente leggero.
Avevo mantenuto il mio impegno.
In fondo alla strada, due figurine nere che sembravano uscite da un quadro di Chagall, svoltarono in Piazza Soziglia, e scomparvero…. .
Su Genova era ripreso a nevicare, ma non sentivo più freddo.
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